La bellezza custodita nei luoghi della memoria
Il Presepe Stabile Stabiano
Unico nel suo genere, un capolavoro dell’arte presepiale napoletana.
Un unicum presepiale, un capolavoro della scultura sacra napoletana composto da pastori realizzati da botteghe artigiane di Napoli e dintorni databili tra la fine del XVIII e l’inizio del XX secolo, il presepe del duomo di Castellammare di Stabia, anche conosciuta come presepe del Mons. Francesco Saverio Petagna (1812-1878), è costituita da ottantadue soggetti superstiti (in gran parte con le teste in legno) di cui: sessantasette pastori, tre puttini e dodici animali (compreso i due cavalli).
Questo presepe di grande pregio e di valore artistico indiscusso, ha avuto una storia controversa e travagliata e, alternando in quasi due secoli, periodi di gloria ed ammirazione, al più nero oblio, giunge a noi grazie alla meritoria opera di concittadini appassionati che con fede e amore ne hanno avuto cura; tra loro si ricordano: Domenico Santoro, Antonio Greco, Franco Scarselli, Giovanni Irollo e Mario Vanacore memoria storica della cattedrale e silente protettore dei pastori.
Una storia di Luci ed ombre alterne, che lega indissolubilmente il presepe alla città di Castellammare di Stabia e gli stabiesi al presepe.
Poche le notizie certe e documentate. Da rare fotografie e cartoline d’epoca, sappiamo che nella prima metà del ‘900 ci furono diversi grandiosi allestimenti, grazie all’impegno di don Angelo Torre e di Domenico Santoro. Le enormi scenografie occupavano un’intera navata della cattedrale che per diversi mesi diveniva un vero e proprio cantiere aperto che coinvolgeva anche le maestranze del Regio Cantiere e della Corderia.
Terminato il proprio turno di lavoro, i maestri d’ascia e i maestri cordai si recavano nel duomo per lavorare al presepe con amorevole atto di fede per inscenare la Natività prossima ad arrivare; ancora oggi, c’è qualche anziano che ricorda quando da bambino passava diverse ore in compagnia del papà intento a sagomare ed inchiodare assi di legno e sugheri… ;una lunga attesa, quella del fanciullo, che non di rado, per la stanchezza finiva con l’addormentarsi tra i banchi della chiesa.
Racconti che mettono in evidenza in maniera chiara la forte componente devozionale che il presepe suscitava e suscita ancora nella popolazione; emblematico, nel periodo post bellico, il riordino della collezione al quale contribuirono in tanti: appassionati, artigiani, suore e semplici cittadini.
Siamo nel decennio a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 e la notorietà dovuta alle esposizioni del 1962 all’Antoniano di Bologna prima e all’Angelicum di Milano poi, poteva essere la grande occasione per realizzare il presepe stabile, ma evidentemente non la si seppe cogliere.
Anni dopo, il terremoto del novembre del 1980, con la sua devastante impronta sul territorio, lasciò il popolo stabiese a fare i conti con l’emergenza e il bisogno, da quel momento anni di obliò: il logorio indisturbato dei tarli e la stolta mano dell’uomo, ridussero il presepe in uno “sconsolato cimitero di pastori”.
Poi la rinascita; fu per amore, passione e devozione che l’imprenditore stabiese Giovanni Irollo, desideroso di far vivere ai nipoti la magia del presepe che lui stesso aveva ammirato da bambino, sollecitato anche dal parroco dell’epoca, don Ciro Esposito, volle restituirlo alla cittadinanza in tutto il suo splendore.
Nel 2000 iniziò un lungo e delicato lavoro di ricerca e di restauro affidato alla ditta Carlo Iacoletti di Napoli con la supervisione della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Napoli e provincia, affidata alla storica Ida Maietta e finalmente, per il Santo Natale del 2004, gli stabiesi poterono ammirare il presepe “ritrovato”. Ma quando tutto sembrava procedere nella giusta direzione, la realizzazione del presepe stabile si interruppe inaspettatamente.
IL PRESEPE STABILE STABIANO
Nel 2019 si forma un gruppo di lavoro, composto da: don Antonino D’Esposito, Massimiliano Greco, Giovanni Irollo, Maurizio Santoro, Riccardo Scarselli e Flavio Morvillo, curatore del restauro e dell’allestimento delle sale, con l’intento di restituire alla cittadinanza in pianta stabile la magnificenza dell’artistico presepe del duomo. Coadiuvati dal prezioso contributo di Mario Vanacore, Pierluigi Fiorenza, Giovanni de la Ville sur Illon, Ottavio Mannara, Corrado Di Martino, la Redazione del portale web liberoricercatore.it e la R&MAGPartners per la parte grafica, si diede inizio alla fase esecutiva del progetto.
E finalmente il 18 dicembre del 2019, alla presenza delle autorità Religiose, Civili e Militari, l’arcivescovo mons. Franco Alfano e don Antonino D’esposito benedissero il Presepe Stabile Stabiano allestito nella sala capitolare.
La scenografia, molto bene articolata, variante al progetto presentato nel 2015, è opera del maestro Alfredo Molli, coadiuvato dall’architetto Mimmo Pagano. È la classica scenografia presepiale con il Mistero della Natività collocato al riparo di un rudere di un tempio pagano ispirato ad un bozzetto di Luca Giordano, l’annuncio ai pastori, esterno alla scena principale, e la taverna, su cui troviamo: pastori e contadini, borghesi, Re Magi, figure di levantini, mongoli, georgiani ed africani, a dimostrazione della multietnicità del presepe napoletano e chiaro riferimento agli eventi politici della Napoli del Settecento.
Si ispira alla Castellammare dell’Ottocento e richiama: la Torre Alfonsina, lo scoglio di Rovigliano, la “Fontana dei meloni” e quella di San Giacomo, il Monte Faito con le grotte e gli anfratti, le antiche riggiole stabiesi e persino il nostro Santo Patrono San Catello. Sullo sfondo un’antica veduta del nostro golfo con il Vesuvio a dominare la scena.
Seppure il progetto museale non sia stato completato del tutto a causa della pandemia, la già fruibile ambientazione scenografica dei monumentali pastori, restituisce alla città di Castellammare di Stabia un’autentica opera d’arte, unica nel suo genere, dimostrando, ancora una volta, il legame indissolubile della città al suo presepe.
(Massimiliano Greco)
Il Museo Archeologico di Stabia "Libero D'Orsi"
Storia e archeologia tra le mura della Reggia di Quisisana.
Il museo archeologico di Stabiae “Libero D’Orsi”, nato su iniziativa del Parco Archeologico di Pompei, conserva ed espone i reperti provenienti dagli scavi effettuati tra il 1950 e il 1968 dal preside D’Orsi presso l’antica Stabiae.
I reperti, rinvenuti sul pianoro di Varano e nei comuni di Gragnano e Santa Maria La Carità, sono stati custoditi fino al 1997 presso l’Antiquarium comunale che il D’Orsi inaugurò nel 1958 negli spazi scantinati della scuola media statale Stabia, di cui egli stesso era preside.
Purtroppo, a partire dal 1997, a causa delle cattive condizioni in cui versava l’Antiquarium, la fruizione della collezione fu interdetta al pubblico che da allora non ha potuto più beneficiarne. La nuova destinazione presso il Palazzo Reale è stata resa possibile grazie all’Accordo di valorizzazione del complesso monumentale Reggia di Quisisana, siglato tra il Parco Archeologico di Pompei e il Comune di Castellammare di Stabia nel 2019, che ha dato avvio alle attività di riqualificazione degli spazi dati in uso al Parco Archeologico di Pompei e ha generato azioni di progettazione di attività di valorizzazione e di promozione del patrimonio culturale stabiano.
La fisionomia odierna della Reggia deriva dai lavori che furono realizzati tra il 1758 e il 1790, in particolare da quelli promossi da Ferdinando IV, a cui si attribuisce il progetto di restauro e di ampliamento che ha conferito alla struttura la forma ad L. Come è noto, il primo nucleo insediativo risale all’età angioina, a Carlo II e a Roberto d’Angiò. Dal 1483, sotto il dominio degli Aragonesi e dei Vicereale, la Reggia passò nella proprietà di diversi notabili fino al 1541, quando Castellammare diventò feudo dei Farnese che si appropriarono anche dell’immobile di Quisisana, lasciato completamente all’incuria che determinò la sua rovina. Fu da parte di madre che Carlo III Borbone erediterà l’immobile caduto in disuso, allora considerato il sito reale più antico del Regno. Durante l’età borbonica si colloca il massimo periodo di splendore della Reggia che raggiunse i 49.000 metri quadrati di struttura abitabile, su due livelli, disponendo di circa cento stanze, due terrazze e una cappella. Dopo la sistemazione del palazzo si passò anche a quella del giardino, che assunse una fisionomia tipicamente all’italiana, del bosco, dove vennero costruite quattro fontane, chiamate Fontane del Re, sedili in marmo, statue e belvedere, e nelle vicinanze del palazzo furono create una casa colonica, una chiesa, una masseria, una torre, una cereria, diverse scuderie e gli alloggi per il personale. Dopo l’Unità d’Italia, la Reggia passò ai Savoia fino al 31 maggio 1877, quando divenne Demanio dello Stato che la cedette un anno dopo al Comune di Castellammare di Stabia.
Il museo è stato dedicato alla memoria del preside D’Orsi, alla cui tenacia e perseveranza si deve la riscoperta dell’antica Stabiae, che rappresenta un importante patrimonio ed eredità culturale per la comunità e per il futuro della città. A suggerire al preside il ritrovamento di questo grandioso complesso residenziale fu l’osservazione del paesaggio che dalla collina di Varano si apriva superbo sul golfo stabiano: “Voglio vedere se alla bellezza del paesaggio corrisponde sempre l’importanza archeologica!”, così scriveva il preside nella sua biografia relativa alla scoperta di Stabiae. Ma si servì anche dei rapporti informativi e delle planimetrie redatte da Karl Jacob Weber e Francesco La Vega, gli ingegneri militari che Carlo III Borbone incaricò per la ricerca delle città sepolte dal Vesuvio durante l’eruzione del 79 d.C. Infatti, anche Stabiae, come Pompei ed Ecolano fu sepolta dall’eruzione, ma, a differenza di queste ultime, pochi anni dopo riprese a vivere , tanto è vero che il poeta Stazio nel 90 d.C., nel suo componimento poetico “Silvae”, incitò la moglie a ritornare nei luoghi ameni e a loro cari , tra cui la stessa Stabiae.
Che questi luoghi fossero abitati da esponenti dell’aristocrazia senatoria, nonché da persone appartenenti alla stessa famiglia imperiale, ci viene detto non soltanto dalle fonti storiche ed epigrafiche, ma dalle stesse testimonianze archeologiche, tra cui i lussuosi arredi marmorei e gli apparati decorativi, dipinti e musivi, che, sin dal momento della scoperta, furono identificati come di grande pregio artistico.
Lo storico e critico d’arte Cozzani, che venne in visita a Stabiae numerose volte e sostenne con grande convinzione il lavoro dell’amico D’Orsi, aveva subito apprezzato la qualità artistica della pittura stabiana, che la declamava persino superiore a quella di Pompei.
A lui si deve l’idea di legare la Villa Arianna al nome della “stupenda composizione di Arianna abbandonata e incontrata da Dioniso” , affresco ancora in situ nel triclino 3 della Villa.
Le decorazioni parietali più documentate nelle ville stabiane sono di III e IV stile, in concomitanza con l’ultimo periodo vissuto prima dell’eruzione. A paesaggi sacro-idillici, vedute prospettiche di residenze che si rispecchiano nell’acqua, ninfe volanti e figure dalle forme eleganti e leggiadre, tra cui la nota Flora esposta al MANN, si alternano articolate composizioni pittoriche di IV stile, di epoca claudio-neroniana, quasi alla stregua di arazzi, che si stendono dall’alto delle pareti, come la scena di Dioniso e Arianna nel triclinio 3 della villa.
Anche i soffitti erano riccamente decorati e il repertorio iconografico prevalente allude al cielo. Sul soffitto del portico superiore di Villa San Marco era dipinto il cosiddetto Planisfero delle Stagioni, oggi esposto presso il Museo, una sorta di mappamondo in cui meridiani e paralleli si incrociano in mezzo a figure eteree di personificazioni di stagioni o costellazioni. Insieme ad esso le figure di Mercurio, di Minerva in apoteosi e del Sole con il suo carro, Helios che con la sua quadriga sormonta la volta celeste. Anche il soffitto della rampa 4, che conduce dal peristilio al terrazzamento fronte mare, allude al cielo con il suo fondo bianco e i cigni con il diadema radiato del sole.
Ma ciò che colpisce della pittura stabiana sono i volti connotati da una forza sorprendente, resa mediante la profondità degli sguardi e la resa delle emozioni. Ecco Ippolito, figlio di Teseo e protagonista della tragedia euripidea, che si mostra sdegnato dalle parole della nutrice che gli confessa l’amore di Fedra, sua matrigna e moglie di Teseo. La nutrice lo trattiene per il braccio per raccontargli la passione di Fedra, ma Ippolito rigetta le sue parole con lo sguardo. Di fianco è esposto Peleo, attonito e con lo sguardo nel vuoto, anch’egli personaggio euripideo.
Ma nel museo la storia di Stabiae, un piccolo insediamento della Campania meridionale, comincia dalle prime fasi di occupazione, attestate a partire dal VII secolo a.C.
Per quanto in età arcaica fosse un piccolo agglomerato e nel I a.C. avesse perso persino la sua autonomia amministrativa, punizione inferta per la sua ribellione a Roma, Stabiae ha sempre rivestito un ruolo strategico tra l’entroterra e il mare, costituendo un ponte tra la terra e l’acqua.
Così nel museo, attraverso i materiali funerari, vengono delineati usi, costumi e forme di integrazione sociale tra i diversi gruppi etnici, presenti nella Campania tra il VI e il V secolo a.C.
Il ritrovamento di centinaia di sepolture nel comune di Santa Maria La Carità, non molto distante dalla collina di Varano, è testimone di un agglomerato preurbano, di cui non conosciamo esattamente la sua ubicazione. Si tratta, perlopiù, di tombe ad inumazione in cassa di tufo che esprimono l’appropriazione di modelli culturali provenienti dal mondo etrusco e greco, fra cui il consumo della carne arrostita e del vino nei simposi. I materiali sono di produzione indigena, come i vasi in impasto bruno con superficie lucidata, di produzione campana, quali i vasi in bucchero nero, materiale privilegiato per le forme connesse al consumo del vino; ma sono presenti anche esemplari di importazione greca come i vasi a figure nere, tra cui il cratere con belve affrontate di produzione calcidese e la coppa a bande con raffigurazione di cigni di produzione attica.
A volte questi esemplari sono accompagnati da segni e graffiti e iscrizioni nominali in lingua etrusca, che indicano la presenza di gruppi di individui di elevato livello sociale che condividono il territorio con le popolazioni indigene che anche esse possedevano una lingua scritta.
Nella necropoli sono attestate anche una fase classica ed ellenistica, età in cui viene impiantato il santuario extraurbano in loc. Privati, che si colloca sulla scia degli itinerari commerciali, tracciati dai santuari a partire dall’età arcaica, nel territorio compreso tra Pompei e la penisola sorrentina.
Come nel santuario del Foro triangolare a Pompei e come in quello di Punta Campanella, la dea venerata era Atena, a cui non si esclude l’affiancamento di Eracle, entrambe divinità preposte alle attività sul mare e commerciali, ma anche alle imprese per cui si chiedeva la protezione della divinità. Gli ex voto afferiscono sia alla sfera femminile, come quelli raffiguranti nutrici e bambini, sia alla sfera maschile, alludenti alla fertilità e alle iniziazioni.
Il percorso espositivo continua con il racconto dell’occupazione del pianoro tra il I a.C. e il I d.C. mediante le architetture residenziali quali Villa San Marco, Villa Arianna e Secondo Complesso, di cui sono esposti le decorazioni parietali, musive e gli arredi marmorei. Le villae maritimae, così designate, perché concepite secondo un rapporto privilegiato con il mare, erano dotate di importanti architetture, quali ninfei, peristili, piscine, triclini e sale di soggiorno diurno proiettate verso il golfo stabiano e napoletano.
Ma nel museo sono presenti anche le decorazioni e le suppellettili dell’ager stabianus, il ricco territorio agricolo di Stabiae, connotato dalla presenza di numerose ville rustiche: edifici a carattere residenziale con fondi destinati all’agricoltura e alla produzione. Si tratta di ville che si collocano non distanti dall’asse viario Stabiae-Nuceria, la strada che partiva da Nuceria, passava per Pompei e che a Stabiae confluiva nella via Minervia per arrivare a Sorrento. La vicinanza al principale asse viario si spiega, infatti, con la necessità di immettere immediatamente i prodotti agricoli sui principali tragitti commerciali, disegnati sia dalle vie terrestri che da quelle del mare. Nel contempo, tali ville presentavano anche delle soluzioni abitative dedicate al comfort e al lusso, affinché esse potessero ospitare adeguatamente il proprietario che, di tanto in tanto, si recava presso queste dimore per controllare i propri affari.
Nel museo è ricostruito interamente il triclinio proveniente dalla la villa rustica, ritrovata in località Carmiano, nel comune di Gragnano, le cui pareti sono affrescate con scene che raffigurano il trionfo di Dioniso.Qui è esposto anche il prezioso vasellame in bronzo, rinvenuto nel triclinio e usato per il banchetto, insieme all’anello con sigillo appartenente al proprietario della casa.
Suggestiva è la ricca decorazione in stucco che decorava le pareti del quartiere termale della villa rinvenuta in località Petraro, la cui prima fase si fa risalire all’età augustea.
Satiri, ninfe, in volo, uccelli e piccole figure di Eros con ceste ricche di frutta affollavano le pareti del frigidarium, dal calidarium e del tepidarium. Ma le scene che catturano lo sguardo sono sicuramente quelle che raffigurano Narciso alla fonte, il cui volto è specchiato nell’acqua, e quelle che mostrano due pugili pronti alla lotta, i cui corpi imponenti disegnati da linee calligrafiche, ornavano le ante della nicchia del calidarium.
Ad accompagnare il visitatore all’uscita è un carro che fu ritrovato presso una strada secondaria di accesso a Villa Arianna. Il carro conserva tutta la struttura in metallo e parte di quella lignea. Lo scavo ha restituito anche i finimenti e le decorazioni bronzee che decoravano la bardatura del cavallo. Il carro, utilizzato sicuramente per il trasporto delle forniture agricole, fu colto probabilmente nel suo ultimo vano tentativo di fuga durante l’eruzione del 79 d.C.
Termina così il percorso espositivo, ma attualmente è in corso il progetto esecutivo per l’ampliamento del museo che vedrà l’esposizione di reperti che dopo molti anni verranno restituiti alla fruizione pubblica, andando ad ampliare le conoscenze di una comunità che vive in un territorio in cui il patrimonio archeologico rappresenta senza dubbio una delle più importanti risorse culturali.
Tutto il complesso monumentale Reggia di Quisisana è stato investito di numerosi progetti di riqualificazione e di valorizzazione, tra cui il progetto di restauro della Torre Colombaia e del parco botanico. La Torre sarà sede di servizi afferenti al Museo, ma anche luogo di piacere e intrattenimento culturale, belvedere, polo attrattivo per la riqualificazione del parco mediante l’organizzazione di attività culturali all’aperto. L’accessibilità culturale sarà migliorata mediante l’installazione di presidi didattici che spiegheranno la storia del monumento, della sua evoluzione architettonica e delle sue trasformazioni d’uso.
Infine, il parco botanico e il giardino storico, decorati da fontane e da arredi marmorei, saranno riqualificati e resi accessibili, mediante specifici percorsi che renderanno possibile il raggiungimento della stessa Torre.
(Maria Rispoli)*
*Maria Rispoli è funzionario archeologo del Parco Archeologico di Pompei. Responsabile dell’Ufficio Unesco del Sito 829 “Aree archeologiche di Pompei, Ercolano ed Oplontis”, delle Regiones III-IV-V ed Extra Moenia dell’area archeologica di Pompei, Responsabile del Complesso monumentale Reggia di Quisisana e Direttrice del Museo archeologico di Stabiae “Libero D’Orsi”.
MUDISS – Il Museo Diocesano Sorrentino Stabiese
Un viaggio tra storia antica, fede e archeologia urbana
Nel cuore del centro storico di Castellammare di Stabia, a pochi passi dalla Cattedrale, dalla Cassarmonica e dalla villa comunale, si trova un autentico scrigno di storia e arte: il MUDISS, Museo Diocesano Sorrentino Stabiese.
Situato in piazza Giovanni XXIII, di fronte al Palazzo Farnese – oggi sede del Comune – il museo è ospitato all’interno della suggestiva Chiesa dell’Oratorio. L’ingresso è gratuito, e il percorso espositivo si snoda tra reperti di epoca romana rinvenuti durante i lavori di ampliamento della Cattedrale tra il 1875 e il 1879.
Gli scavi portarono alla luce una necropoli lungo l’antica via Nuceria-Stabias-Surrentum, che documenta la continuità insediativa della zona tra età romana e periodo paleocristiano, subito dopo l’eruzione del 79 d.C.
Capitelli, lucerne, lastre sepolcrali e una colonna integra introducono il visitatore a un passato ricco di testimonianze: spiccano la lastra tombale del trierarca Caio Longinio Prisco, riutilizzata come sepolcro cristiano, e il sarcofago del Principalis di Miseno con rilievi di Apollo, Minerva e le Muse.
Completano l’allestimento l’iscrizione del Sarcofago del Buon Pastore, lapidi cristiane e una colonna miliaria fatta erigere dall’imperatore Adriano nel 121 d.C., a segnare l’undicesimo miglio da Nuceria Alfaterna.
Il MUDISS documenta così non solo l’evoluzione urbanistica della città antica, ma anche la ripresa della vita e delle attività – artigianali, religiose e commerciali – dopo la tragedia del Vesuvio. Un museo intimo ma prezioso, che restituisce voce alla memoria più antica di Castellammare.